giovedì 31 marzo 2011

Silver - Riot 1-2-3 EP [Christiana Rock Records]


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Essendo perennemente a corto di denaro, capita spesso di mettersi a razzare nel comparto "usato" del proprio negozio di fiducia, con alterne fortune. Molto alterne. Ultimamente un raggio di luce ha illuminato quel comparto costipato dal grande mare di Hardcore melodico che qui in romagna riscosse grandi fortune negli anni del grunge. Non sono un feticista dell'autografo, ma il solo pensiero del viaggio e della storia che possa avere questo secondo ep ( Il primo fu Billboard Blackout del 2000 ) autografato chissà dove , visto che in Italia non sono mai venuti, mi ha spinto verso di lui. Metteteci poi che amo i Silver da White Diary ( Di cui questo Ep contiene il singolo portante ovvero Riot 1-2-3) e il gioco è fatto.

Qui dentro troverete i primi Silver, che della Norvegia si portano dietro ( Come quasi tutte le band dedite al punk, e con orgoglio ) quel sentore di death-punk memore dei primi Turbonegro, ma nello specifico non ancora pienamente mescolato alle chitarre poderose di World against World, diciamo che ci sono ancora molti riferimenti al punk americano di New York dolls e Stooges e riferimenti diretti e di approccio vocale riconducibili al gagio cantante delle pistole del sesso. Ottimo

sabato 26 marzo 2011

Winnebago deal - Career suicide [Cargo]

Euroboy ha sconfitto il cancro, bene, ma i Turbonegro se ne sono andati. I Gluecifer si fanno chiamare Bloodlights ma sono senza Malibù, quindi totalmente inefficaci. Gli Hellacopters causa chitarrista pazzo ( per le droghe) si sono dovuti sciogliere e i Mondo Generator hanno appena fatto uscire un disco acustico.

In questo panorama desolante per l'amante dell' hard-punk, emergono le seconde linee. Per la serie al momento giusto, ma col disco giusto. Career suicide è il disco che dovresti aspettarti dai Winnebago deal da sempre, con quel cianciare euforico che echeggia da anni sul loro fantomatico incrocio "Turbonegro-Mondo Generator" che personalmente non ho trovato mai convincente, mai a fuoco. Invece il centro arriva col tempo, ma è pienissimo.

"Heart attack in my head" è il trivellare di colpi, il ticchettìo delle munizioni sull' asfalto, il segnale chiaro che il fuoco è aperto con gli Hella di supershitty che sembrano voler far capolino da ogni martellata impietosa di Ben Thomas, aprendo una vera voragine per l'ingresso del mister Olivieri che fù. Nick, sia chiaro non è presente in questo disco, troppo intento a suonare ninna nanne Ramonesiane, ma in "Tokio rip" c'è il suo fantasma, la sua presenza, l'esempio-canzone che avremmo voluto sentire dagli ultimi Generator e non abbiamo sentito. Con "I want your blood" l'atmosfera si tinge di death-punk Norvegese, suono secco, cupo a cavallo tra Retox e Ass cobra ma personalizzato dai vocalizzi di Perrier. "Ain't no salvation" poi sembra una traccia disgraziatamente scartata da Death alley degli Zeke.

Con le citazioni che avete letto fin ora non vi sarà difficile comprendere quanto questo lavoro, sia un piccolo gioiello di genere e di come l'incrocio di cui sopra sia pienamente riuscito. Disco della primavera e dell' estate. Sicuramente.

giovedì 17 marzo 2011

The Wildhearts - Earth Vs The Wildhearts [Lemon Records]

Quante volte avete sentito la frase, dal vostro compagno di ascolti preferito, negoziante di fiducia, o dal vostro recensore preferito (Ogni drogato di musica rock che si rispetti ha sia una rivista di riferimento, che uno/due recensori preferiti nella suddetta rivista, quelli che ti farebbero comprare anche un gruppo garage Turcomanno ) : "Questa è la band più sottovalutata di tutti i tempi!". Cazzate.

Cazzate, perchè la band più sottovalutata di tutti i tempi sono i Wildhearts. Rimangono disponibili gli altri posti del podio.

Qualcuno li definisce un perfetto mix tra le melodie Beatlesiane ed i Metallica anni ottanta, può essere, ma è drammaticamente incompleta come disamina. Perchè vanno fatti i conti con Ginger (Leader ed ex Quireboys) pazzoide incallito tossico-punk-rocker con i Dogs d'amour (Con i quali han diviso tutto, componenti, ma anche bagordi, femmine, e forse anche l'herpes ) e con il loro modo di infilare melodie trasversali e dementi ovunque come nella folgorante " My baby is a headfuck", che a quante la dedicherei lo so solo io, ma evidentemente anche loro.

Earth Vs The Wildhearts è una bomba. Sono i Cheap trick che incontrano i Ramones che salutano gli Ac/Dc con le dita nel naso come uno degli Hard-ons (Il riferimento alla band Australiana è puramente concettuale, serve giusto per farvi capire il livello di cazzonaggine). Il disco ruota tutto su quel singolone deflagrante che risponde al nome di "Caffeine bomb" , anfetaminica giostra hard impazzita, presente in principio solo come singolo, ma repentinamente accorpato al lavoro, come una gemma di quelle da un milione di dollari.

La Lemon Records dal canto suo ci regala un doppio cd colmo di bonus track, nel tentativo di provocare quel colpo di reni alla popolarità della band, che puntuale non arriverà neanche questa volta.

Greetings From Shitsville.

HARDCORE SUPERSTAR – Split your lip [Nuclear Blast]


Sono carico di testosterone. Sono un uomo. Vivo ai margini. Chi ama il tipo di musica che produce il quartetto Svedese (Che è poi la stessa gente che vive di hard-punk nordico di Turbonegra erezione) deve averlo pensato qualche volta nella vita, io in primis. Chi ama questa roba dicevo, la ama perdutamente, ed è gente talmente carica di rivalsa nei confronti del sesso opposto, da buttarsi in stage diving sul palco solo per limonare con la Ruyter (Perchè simboleggia quello stereotipo di donna free e rock che non esiste in natura, con la quale poi nessuno prenderebbe neppure un caffè il giorno seguente) ai concerti dei Nashville pussy.

Split your lip è “la” spacconata definitiva. Fin dalla copertina. Macho? No l'esatto contrario, vendicativo. Ve li ricordate quando in “Bad sneakers and a pina colada” fecero copulare i Motley di Dr. Feelgood con quelle ballate alla “Someone special” da fare invidia agli Oasis? Bhe, Se voi e la vostra ragazza vi siete bagnati le mutandine in quella occasione, questa volta non prestate il disco a nessuno, perchè qui il “pacco” vi si gonfierà come si gonfiano le gole di quei rettili pronti alla sfida per amore. Succederà perchè nel frattempo il suono è passato attraverso la macina di ferro di cinque dischi, lasso di tempo durante il quale i nostri oltre ad aver fagocitato i soliti Kiss, immancabili nei loro dj set che a volte propongono dopo o prima i concerti (Con l'unico scopo di conquista) hanno variato la dieta musicale verso l'heavy.

Quindi porte spalancate a roba come “Sadistic girl” pensando a quando quella marcia della vostra ragazza vomitava in bagno perchè l'ansia la dilaniava o quando con le vene tagliate vi chiedeva aiuto e a voi che stavate con lei solo perchè non c'era altro da fare, vi veniva facile proteggerla. Un vero inno, come dice il mio amico Mario che non conoscete ma del quale spesso fidarsi è d'obbligo. Avanti con “Moonshine” in onore delle vergini del liceo, perfette come un quadro di Modigliani e aride come il campo di mio nonno d'estate, prima di sputtanarselo. “Don't talking 'bout moonshine, don't talking 'bout white wine” please. E' un canovaccio hard-rock che trova nei vocalizzi di Berg quella pienezza che non saprei come descrivere se non come: versi di felini malati africani, dei quali non posso deliziarvi essendo un testo scritto.

I fumi alcolici in “Last call for alcohol” sanno oltremodo di amicizia teppista, e quando comicia il solo di batteria della title track, l'america più esibizionista si impossessa dei biondi. Esplosioni boogie e filamenti elettrici nell' etere precedono un esplosione mirata di melodia rock da pelle d'oca. E poi ancora boogie e di nuovo melodia prima del secco “Split your lip”. Se fosse una canzone dedicata alla fellatio costretta nei confronti qualcuno di cui non porti un bel ricordo, sarebbe fantastico. “What did i do” invece è la splendida ammissione di impotenza difronte alle lacune mnemoniche post sbornia.

Concludo non nascondendo la presenza di due traccie acustiche che viaggiano aderenti al discorso lirico di cui sopra, tali “Here comes that sick bitch again” (Visto il titolo si commenta da sola) e “Run to your mama” che a mio avviso chiude perfettamente il cerchio affettivo. Un vero concept sulla condizione del rocker inteso sia come fruitore che come artista. Lo sfogo di un mondo outsider, splendidamente hard, boogie, punk, svogliato e sincero, suonato da veri maestri rock, ai quali va tutta la mia stima e affetto.
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