Premettendo che una copertina cosi, il formato vinilico l'avrebbe tramutata in opera d'arte, mi chiedo come mai la Alleycats non si dia una santa mossa e cacci fuori i soldi per promuovere queste band deliziose in formato 33 giri. Forse non sa che in giro ci sono pazzi come me o come voi che leggete quello che scrivo con sottobraccio una copia di rugoso e solido vinile, chissà. I Movements li conosciamo tutti ( vero?!), grandissima band Svedese dalle forti tinte sixties, o come si autodefiniscono " Influenzati da space-rock, psychedelia, punk, kraut e molto altro" praticamente tutto. Invece io oggi vi dico una cosa ben diversa, o meglio in parte diversa. In questo nuovo lavoro la psichedelia come al solito è presente a fiumi, ma è l'unica volta che mi capita di sentire una band Svedese con somatiche così Australiane. Si si avete capito bene e se non vi fidate ascoltate l'opener " How long is too long " sembrano i Vistors ( Che Dio li benica ) sotto trattamento LSD, e poi non ditemi che " Approximitly within 24 hours " non prende a piene mani dal repertorio Birdman, perchè divento furente. Il punk è qui adottato come collante per saldare per benino tutte le derive underground di cui " The World, the flesh and the devil " è stracolmo, che si parli di psichedelia pura o di garage-rock sopraffino. I Movements oggi, riescono a calcolare la giusta dose degli ingredienti con sorprendente sapienza dando vita ad un lavoro riuscitissimo sotto molti profili, uno su tutti la compattezza, e a giudicare dalle premesse non era così scontato. La profezia del terzo albo si è manifestata ancora una volta.
sabato 19 dicembre 2009
martedì 8 dicembre 2009
THE SETTING SON - Spring of hate [Bad afro]
Uno dei motivi per i quali considero il rock al pari di una religione, è rappresentato dal miracolo. Non fraintendetemi, i Setting Son non sono un miracolo ( o si?) mi riferisco piuttosto alla provvidenza rock, capace di presentarsi nel momento del bisogno con in mano la soluzione. La soluzione ( per le mie sinapsi ) oggi si chiama Spring of hate, e me l'ha portata il fato, vestito da fata hippie con tanto di margherite splendenti tra le orecchie. Il secondo album della band nordica mette subito le cose in chiaro fin dalla sleeve, la quale sembra voler ribadire con forza due concetti: peace e ancora peace. Sebastian Kristiansen oggi è un artista maturato, capace di virare il suono del primo Self titled album, ancora fortemente ancorato alle dinamiche di genere , verso una psichedelia sognante ma mai snaturata dalla sua indole garage. Una prova compatta (12 traccie in 36 minuti ) capace di esordire con un singolo "Dreamy" come Soulmate ed inserire pezzi deliziosi come Spring of hate , Fool my heart e Obsession in un tracciato quasi etereo. Forse, Spring of hate è davvero la colonna sonora per l'ascesa verso un paradiso garage popolato da creature pacifiche.
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giovedì 26 novembre 2009
REIGNING SOUND - Love and curses [In the red]
Penso alla In the red, a come abbia accolto tra le sue fila quel personaggio abrasivo che risponde al nome di Greg"Oblivian"Cartwright con esterma naturalezza. In effetti quello tra Greg e l'etichetta Californiana, ai miei occhi fu il più naturale tra i matrimoni già da "Time bomb high school" , questione di geni. Oggi però Greg ci stupisce tutti quanti ( Etichetta compresa?) sfoderando il gioiello maturo e coeso che non ti aspetti. Oggi troviamo le sue (Too much) guitar inumidite di dolce liquore sudista, speziate e cariche di pathos. Un mosto che conserva i sentori R&B e non li screma da nessun tipo di scoria garage-punk. Pensate ad una sorta di sixties-garage sound conservato e invecchiato in botti di rovere, una schicceria per buongustai e per tutti gli amanti di quel tepore che solo certo rock può ancora fregiarsi di possedere.
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domenica 22 novembre 2009
THEM CROOKED VULTURES - Them Crooked Vultures [Interscope]
Sospetto ci sia dell' amicizia vera dietro la composizione di questo supergruppo, rafforzata da quella stima reciproca che raduna dietro un unico intento i più grandi secchioni in ogni settore, ovvero essere i migliori della stratosfera. Prima di tutto va detto che per sconfiggere le più grandi formazioni aliene in una ipotetica Battle of the bands spaziale, mancherebbe un membro fondamentale, Jack White (Aspetto con ansia una formazione Homme-Grohl-White, non me ne voglia Paul Jones). Detto questo, Them Crooked Vultures è un album che piacerà sicuramente a tutti i fan dei Queens of the stone age. Sostenute delle percussioni di Grohl le ritmiche desertiche di Homme a sprazzi fanno rivivere l'atmosfera delle regine che furono, amalgamandosi sovente con certi vocalizzi glam, memori dell' esperienza con le aquile del death metal (Mind Eraser, No Chaser ). Them Crooked Vultures risulta un albo fortemente Homme-influenced, traghettato e "bombato" dalla batteria impeccabile del leader dei Foo Fighters, e dotato di pezzi come Elephants, vera corsa ad ostacoli per funamboli della chitarra che sfocia in pura indolenza Stonage notturna. Solido in ogni suo aspetto, questo esordio mostra persino una certa duttilità a livello ritmico, basti pensare a pezzi come Gunman , che io ballerei in pista come poche altre canzoni in questo 2009. Resta dunque solo la curiosità di quello che potrebbe, come sopra citato, essere questa superband con una seconda voce nel coro, un'altra mente portante, entrambe coadiuvate dalle bastonate di Dave, e di chi parlo l'avete capito.
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mercoledì 7 ottobre 2009
DEAD WEATHER - Horehound [Third man]
Ok, è un bell'album. Ma per qualcuno potrebbe anche essere un album sui generi, quante visioni si possono avere su questa prova? Dite Crome cranks? giusto un velo di nebbia, direi piuttosto una valanga di blues notturno, questo si. Il fatto è che alla lunga risulta solido, ed è la sua miglior qualità. White forse è veramente il miglior Compositore ( Revivalista ) del decennio, e aggiungerei anche il miglior estetista rock a giudicare da chi si attornia per coniare le proprie opere, sia Meg, la Mosshart o Brendan Benson . Qui suona la batteria, ma il suo stile aleggia e permea tutta l'opera, cesellata finemente dalla voce di Allison (Kills). Vedete, il bello dei combo assemblati dal nostro è proprio quello di riuscire a non snaturarsi mai dalla propria concezione di rock primigenio, basato sul chitarrismo più o meno hard. Tutto questo rende possibile la solidità di cui sopra. Ancora un ottimo lavoro Jack.
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venerdì 2 ottobre 2009
ALICE IN CHAINS - Black gives way to blue [Virgin]
Non so quanti di voi conoscessero gli Awareness Void of Chaos nè posso immaginare quanti punk posseggano qualcosa dei Neon Christ di William DuVall, ma vi posso garantire che questo ragazzo è a tutti gli effetti la reincarnazione di Leyne Staley. Poi c'è quella volpe di Jerry ( Cantrell , chitarrista storico della band ) il quale, ha aspettato parsimonioso il momento propizio per sdoganare il suo nuovo pupillo e amico, qualcosa che sa di resurrezione misto frankenstein, ma che funziona. "Black gives way to blue" si presenta come un album degli Alice in chains a tutti gli effetti, stessa malsana aura, stesso fetore, stesso tiro. Diffidate quindi da detrattori e puristi Stanleyani che non perderanno l'occasione per declassare il tutto a mero revivalismo. Apre con le parole "Hope, a new beginning, Time, time to start living" e rimane costantemente in bilico tra speranza e desolazione, dolore e salvezza invocata con la forza di chi la speranza non l'ha persa neanche dopo aver fatto i conti con la morte. Un riff Cantrelliano fino all' osso (Dovrebbe avere un brevetto per questo) ammorba tutta "Check my brain" per poi sfociare melodico come non mai, "A looking ina view" incrocia Dirt con la malattia dell' ultimo albo selftiled o Tripod, comunque lo vogliate chiamare, issando le chitarre come vessilli e barcamenandosi attraverso funeste atmosfere palustri. Mi stavo chiedendo, e lo chiedo anche a voi, non trovate che il clima finanziario, politico, ambientale si presti particolarmente ad un ritorno in pompa magna degli Alice? e se fosse l'inizio di una nuova era grunge, ammesso che questo termine voglia effettivamente dire qualcosa? Maestri.
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lunedì 14 settembre 2009
BABY WOODROSE - Baby Woodrose [Bad Afro]
Lorenzo Woodrose è ormai una costante di cui abbiamo infinito bisogno. Si, risulta del tutto evidente che la stagione musicale in corso assomigli molto più ad una secca che alla valle dell' abbondanza, ma siamo fortunati, spesso ci saziamo grazie alle goccie di rugiada rimaste nell' ampolla di pochi eletti. Uno di questi è Proprio Lorenzo, accompagnato dagli altri Woodrose s'intende. Diverso dal precendende Chasing Rainbows, deliziosamente psichedelico, il nuovo albo della band Danese mantiene si la propria identità visionaria, a volte al limite della melanconia, sposandosi però in diversi episodi con robuste incursioni appartenenti alle dinamiche barbare del sixties garage-punk. Bastano i primi cinque secondi Fuzz dell' opener "Fortune teller" per capire come strutturalmente qualcosa si sia mosso. Non si può dire lo stesso per le liriche, sempre sognanti e lisergiche, come durante quel " Talking about love" seccamente intonato da Lorenzo, ritornello manifesto di tutta l'opera Woodrose. "Take it" alza ulteriormente il tiro ( Amici qui siamo in pieno ambito garage punk con tanto di urlo cavernicolo, non ci sono storie ) decretando con ufficiosità le nuove varianti sul tema, rendendo il Progetto Baby Woodrose una macchina psichedelica perfetta. Il nuovo lavoro rappresenta in buona forma proprio questo, un equilibrio ginnico tra urgenza e misticismo, qualcosa che può essere solo dettato dalla maturità di musicisti che da anni lottano nell' underground più sordido. Equilibrio reso possibile da pezzi come "Countdown to breakdown" , malinconica e struggente ballata da giorno del giudizio o "Open up your heart" , il pezzo che maggiormente si avvicina alle sonorità del precedente albo. Una prova di solidità impressionante che conferma la presenza dei nostri nell' olimpo dei grandi della nostra era.
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sabato 11 luglio 2009
"DEMONS" - Ace in the hole [Alaska productions]
Amo i "Demons" dall' ep del 1997, si quello che conteneva Electrocute, recentemente coverizzata dagli Hellacopters nel loro ultimo albo, ricordate? Spero di si. Cardini dello Svedish rock sono quanto di più gradito in un anno, il 2009, veramente avaro di gioie, Small Jackets e Nashville Pussy permettendo. Ace in the hole è come svegliarsi una mattina d'estate dopo la sbronza della sera precedente, quella sotto il diluvio e scoprire che in cielo non c'è una nuvola, e il vento fresco fa da preambolo ad una giornata vissuta intensamente, in Svezia, aspettando la notte per combinarne ancora di ogni nella patria del rock nel nuovo millennio. Il nuovo lavoro è maturo e fiero, meno diretto dello strepitoso esordio Riot Salvation ma caldo, e pieno di soluzioni, ascoltare per credere l'organo di "My bleeding Heart". Esalta la tradizione boogie nordica in "Let Bygones Be Byebyes" e morde punk come non mai in "The fall guy". Ossigeno puro.
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domenica 28 giugno 2009
THE VISITORS - The Visitors [Citadel]
Come un bottiglia di stravecchio, caduta dallo scaffale più alto del bar dei canguri, Deniz Tek e Rob Younger all'infrangersi del sogno Radio Birdman (poi ricostituito dallo stesso Younger più tardi, fino a giungere al cupissimo "Zeno Beach') sparsero un'infinità di schizzi e rivoli Oz rock. Uno di questi, fiero possessore di buona parte della gradazione alcolica dei Birdman, fu quello che vide come capostipite Deniz Tek. I Visitors, appunto. Ve lo dico subito, 'The Visitors ' possiede quel suono. Quello Australiano di fine seventies. Nobile, fiero hi-energy rock incontaminato, roba rara. Ascoltate "Haunted road" e sniffate l'odore acre di selvaggina, sballate con la Doorsiana "Euro Girls" e poi ancora rincorrete "Hell yes", se ci riuscite.
Oggi mamma Citadel ristampa questo gigante uscito per la Traflagar nel 1981, che per importanza storica e qualità compositiva, dovreste comprare a scatola chiusa, senza pre-ascolto, IMMEDIATAMENTE.
Mi ringrazierete.
Oggi mamma Citadel ristampa questo gigante uscito per la Traflagar nel 1981, che per importanza storica e qualità compositiva, dovreste comprare a scatola chiusa, senza pre-ascolto, IMMEDIATAMENTE.
Mi ringrazierete.
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martedì 26 maggio 2009
MULETRAIN - Crashbeat [Beat generation]
E fu così che una band, da sola, prese per la mano l'esercito punk, che ormai smarrito aspettava solo una voce, un anthem, con occhi e orecchie verso Madrid. I muletrain di " crashbeat " sono melodia e crudezza, speranza e odio, anthem e pogo, un mix che da tempo aspettavo. Diversi, certamente diversi dall' esordio, qui il grido secco di battaglia cresce e diventa anthem, appunto. " Gimmie gimmie gimmie rejection ! " urla Mario nella traccia d'apertura, e come dargli torto? nel 2009 come potremmo?. Il fatto è che in "walking venom" sembra di avere di fronte i primissimi Turbonegro, e la gioia si fa tripudio, immediatamente. Tematiche punk, di rivolta e disillusione, continuano incessanti come nella gioiosa "White lies"come in "Urgency" . Musica terapeutica ( Oggi a maggior ragione ), credetemi.
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lunedì 25 maggio 2009
SMALL JACKETS - Cheap tequila [Go down ]
Gli Small Jackets sono la più grande boogie hard-rock band Italiana in circolazione. Stop. Capaci in passato di sfoderare colpi da k.o tellurico come " Walking the boogie " ( qualcosa che nel 2006 fece gridare al miracolo ) e di performance live dagli standard sempre altissimi. ( Questo non tutti lo sanno e ci tengo a precisarlo). Oggi nel 2009 decidono di piazzare il colpo di classe, di completare la loro virata Detroitiana, di scendere a patti direttamente con i loro maestri; i Grand Funk Railroad. Tequila a buon mercato, annuncia il titolo del nuovo albo, per i nostri eroi Romagnoli, forse anche grandissimo rock a buon mercato ( Visto i prezzi che girano ) ma non solo questo. I "Giubottini" questa volta per registrare il disco sono volati in Svezia, da Chips K (Sator) e Henryk Lipp , coppia di produttori già di Hellacopters e Nomads, capaci di indicare alla band la via per le sonorità della motor city. Grandissimi quando avanzano con il loro boogie trotterellante in " Long Way Home " , deliziosi quando salgono sul piano degli ultimi Hellacopters ( Quelli di "Rock'n'roll is Dead" ) in " Sweet lady ". Trascinanti negli l' anthem ( Perchè di questo si tratta ) come su " Listen to the Rock ". In chiusura, nota di merito persino per la cover di " Are you ready " neanche a farlo apposta dei Grand Funk Railroad. Disco Italiano dell' anno.
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NASHVILLE PUSSY - From hell to texas [Steamhammer]
Ieri sera ascoltando Apocalypse dudes dei Turbonegro ho compreso From hell to texas dei Nashville pussy, strano il rock, se lo ami le soluzioni alle tue domande arrivano da sole. Ora, premesso che trattasi di due band strutturalmente differenti, ciò che mi colpì fu come il percorso artistico dei primi in un certo modo si stesse verificando anche per i secondi, e lo stesse facendo ora, mediante un percorso di lento appiattimento del primo standard compositivo, causa per la quale il passaggio non fu immediato come per i TRBNG, ma andiamo per gradi. Pensate a “ Let them eat pussy “ il primo albo dei Pussy oppure focalizzate l’attenzione sul secondo “ High as hell “ converrete con me che trattasi di albi da una potenza e soprattutto urgenza notevole, in certi tratti persino motorheadiana. Bene, ora spostatevi ad Oslo sponda Turbonegro, ricordate quando inventarono il death punk? Grazie a due album memorabili come “ Hot cars & spent contraceptives “ e soprattutto al fondamentale “ Ass cobra “? Spero di si. Il passo successivo è molto semplice, osservare le evoluzioni adottate dalle band in questione.I TRBNG inaugurarono il trio dell’ apocalisse con appunto Apocalypse dudes, Scandinavia leather e Party animals, ma i nashville ? cosa fecero i nashville? Semplice, rimasero sugli stessi standard iniziali, solo con molta meno verve e una sensazione più o meno espansa di fiacchezza. Sapete qual’ è la novità? Oggi i nostri pongono rimedio con “ From hell to texas “ e lo fanno mettendo in primo piano al contrario dell’hard-glam adottato dai cugini di Oslo , la loro vena southern rock, vena da sempre presente ed ora valorizzata in piena forma dall’ incedere indolente di “ Lazy jesus “ nell’affascinante “ Stone cold down “ e nei riff di “ I’m so high “. Rimandando al fuoco degli esordi con l’opener “ Speed machine “ ( che non sfigurerebbe in “High as hell” ) e mediante la spaccona “ Drunk driving man “. Insomma è giunta l’ora di tornare a comprare i dischi dei Nashville pussy
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martedì 19 maggio 2009
PACK AD - Funeral mixtape [ Mint records ]
Ad una primissima distratta disamina, percepii solo un certo incedere tipico delle band dedite al detroit sound. Quella stessa cadenza più che trentennale, artefice di recente delle fortune dei White Stripes. Questo e poco altro. Sbagliando. In realtà, ben presto mi accorsi di quanto il progetto di queste due canadesi potesse contare su di un afflato ben diverso. Giubbotti di pelle, birra e genuinità, sono sempre una buona base di partenza, diaciamo pure quella che empaticamente fa la differenza, soprattutto se paragonata ben altri approcci radical chic. Becky (Voce e chitarra) e Maya (batteria) sono due Rocker, questo è certo come la morte. Basta visitare il loro sito per capirlo, dove a fianco dei video della loro "2 woman band" ve ne è anche uno, abbastanza goliardico per la verità, nel quale le due ragazze dimostrano il livello di conoscenza l'una dell'altra (Maya con la maglia degli Iron Maiden, e birra pronta per essere rovesciata sul tappeto), superando la prova brillantemente. “We are not a blues band, even though people keep putting us there” says Maya “We both love the blues, but we are a garage rock blues group”. Tutto verissimo aggiungo io, se associato ad una certa profondità blues, che cresce più ci si addentra nel dolce fuoco di 'Funeral mixtape.
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JIM JONES REVUE / Jim Jones revue [ Punk rock blues ]
Vedere quel cadavere, sentirne il fetore, è sempre stato molto confortante, almeno per me. Potrete quindi immaginare il mio rammarico all’ avvenuta putrefazione degli organi in anno 2008. Era chiaro fin dai primi vagiti del nuovo millennio, che la verve somministrata dagli artisti piu genuini non poteva, per quantità, sopperire ai fabisogni di un corpo in decomposizione, ma bastava per conservarne un ricordo onorevole. Abbrustolito dal tubo catodico, perennemente sintonizzato su x-factor, del rock rimasero un cumulo di ossa. Questo in sintesi il succo del discorso affrontato proprio ieri sera con un caro amico, presi entrami da una seria patologia del distacco. “ Secondo te chi è il parrucchiere di Morgan ? “ domandai per stemperare la rassegnazione, senza ricevere risposta. “ Jim Jones!! Diavolo di un diavolo, lo pettina con la voce! “ mi autorisposi, suscitando ilarità, ma non solo, forse anche un pizzico di speranza. Infatti per chi non lo sapesse c’è un tizio, uscito quest’anno che si presenta esattamente come “Il messia rock’n’roll” possedendone tutti i crismi, e non accadeva da quando Lux si mise a svolazzare come un umano volate. Immaginate Jerry Lee Lewis, si quello di great ball of fire, caricato a plutonio bombardare la nostra sfiducia, saltellando e roteando contemporaneamente, come se fosse sui carboni ardenti. In realtà la Jim Jones Revue non è altro che la nuova creatura dello stesso tipo conosciuto per la propria militanza in band come Thee Hypnotics e Black Moses, non un pazzo qualsiasi, uno che i gradi di “svitato” se li è guadagnati sul campo. Tanta carica bluesman anni cinquanta ma anche tantissimi Sonics dentro il debutto di questo figuro, che risolleva da solo l’orgoglio rocker generando nuovamente baldanza fra i suoi adepti. Credo di aver visto anche un cumulo di ossa ballare, ma non sono sicuro fossero le spoglie del rock, forse era soltando un povero cristo scomparso negli anni cinquanta in adorazione.
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mercoledì 4 marzo 2009
GLUECIFER - Soaring with the eagles at night to rise with the pigs in the morning [White Jazz]
Anche se scrivo queste due righe conscio del fatto che i Gluecifer oramai si siano sciolti, nessuno può togliermi dalla testa che quella di Biff Malibù sia stata la più grande ugola rock del decennio, e forse persino di quello precedente. Detto questo, se amate i loser, dopo aver ascoltato la loro seconda prova sicuramente cercherete di acquistare un poster a grandezza naturale di Biff, che però non esiste. "Soaring with the eagles at night to rise with the pigs in the morning" suona più o meno come "Di notte leoni e di giorno c......." ed è l'esatta percezione di quello che avrebbero potuto fare dei punk a cui siano state impartite diverse lezioni da Angus Young. Tutto quello che passa per questo lavoro, viene inevitabilmenete amalgamato dalla voce del buon Biff, capace di modularla caladamente verso toni vicini al cantato rockabilly quando il pezzo lo richiede. L'assolo vocale di "Bossheaded", la traccia d'apertura, è qualcosa da mandare a memoria. Degno punto d'arrivo e di confronto con il quale misurare la bontà di qualsiasi altro frontman che si cimenti con questo genere. La furia alcolica di "Get the horn" (Forse il primo vero singolo della band, da non perdere il video!) non ha confronto, neppure per le frangie hooligans più estremiste. Insomma, uno splendido storyboard urbano disegnato dalla banda di teppisti della vostra città.
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lunedì 2 marzo 2009
DWARVES - Blood guts and pussy [Sub pop]
Pensate ad una collina al tramonto. Immaginate che da quella collina in fiore, scenda un orda di nani nudi, drogati ed in perenne erezione, ecco è propio questo che sono i Dwarves, l'istinto animalesco stesso. Blood guts and pussy, per come la vedo io, rappresenta l'hardcore in una delle sue forme più smaglianti. Lontano da ideologie polico-sociali, lontano dalla protesta o dalla denuncia, presenta solo un grande sfrenato sfogo animalesco, quasi un bisogno corporeo. Degno successore del mini Tooling for a warm teabag, l'album diventa la prima vera uscita su lunga distanza dai tempi del garage-punk di Horror stories, vero gioiello eighties. Back seat of my car, Let's fuck e Drugstore, sono anthems per sbroccati sadici e drogati di sesso, gli stessi che potete trovare sotto il palco a godersi, mutilazioni e atti sessuali che i nostri propongono sovente live. Bad Brains depravati prodotti da GG. Allin, mi sembra una definizione abbastanza calzante. Tredici minuti erotti di furia testosteronica.
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domenica 1 marzo 2009
ZEKE - Death alley [Aces & eights]
C'è un motociclista di Seattle, la città del grunge, che ama sfidare le curve con ghigno sadico, sfreccia tra le camicie di flanella e gli sguardi rassegnati dei grunger sotto valium, urlando a perdifiato, assetato di velocità e di emozioni forti. Blind Marky Flechtone è un bikers. Il suo sogno, oltre a quello di calcare con la sua enduro tutti gli sterrati della terra, è sempre stato quello di mettere su una band per donarle il suono di una quattro cilindri. Marky è cantante e chitarrista, è lui il decerebrato dietro al progetto Zeke. Diciamo subito che Death alley, l'albo in questione, non rappresenta solamente la quinta volta che si rinchiude, in compagnia dei suoi compari, in uno studio di registrazione nel tentativo di comprimere furia selvaggia in traccie audio, ma bensì l'unica volta che riuscirono a farcela stare tutta, vomitando fuori ogni singolo istinto incendiario per poi riempirlo di calci per imprigionarlo su disco. Su Death alley sembra di sentire i cugini bastardi dei Dwarves di Nick Olivieri, caricati a gasolio e Motorhead. Ascoltate "Crossroads" " Live wire" "Evil dead" e "Jack Torrance" per scoprire di essere al cospetto di un concentrato motociclistico, proposto a getto continuo, di hardcore e funambolismi da gustare alla goccia. Potrebbe bastare ampiamente per appagare palati forti, ma sappiate che il vicolo della morte non è solo questo. Possiede anche gemme stoner grasse e cariche di blues come "Evil woman" e " Road ahead" a completare degnamente il lavoro della carriera.
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lunedì 23 febbraio 2009
FLESHTONES - Roman Gods [IRS]
Gli eroi “buoni” esistono e le favole pure. Quindi anche se siete di New York e come tutti i Newyorkesi possedete un tatuaggio con su scritto “Arty” posizionato sulla parte inferiore del cervelletto, sappiate che è arrivato un tizio di nome Peter Zaremba che ve lo eliminerà a suon di organetto. Le favole esistono, anche perchè svegliarsi una mattina di ferie per mettersi a trafficare in soffitta tra polvere e strumenti dismessi, salvo poi decidere ( dopo aver pulito tutto ) di formare una band, rimane un atto magico, tenero e adolescenziale. Esattamente quello che fece Keith Strong. Futuro chitarrista della band, Keith forse sapeva suonare “Oh when the saints go marching in “ con un cucchiaio e due bicchieri, anche se non ne sono del tutto sicuro, e comunque la sua esperienza di musicista si esauriva a quello. Amico di Peter Zaremba da diversi anni, Keith chiese al cantante organista di far parte della band, o forse fu il contrario, in qualsisi dei due casi, la nuova recluta accettò eseguendo un saltello su se stesso in segno di approvazione. I due rappresenteranno l'anima di una band che insieme a Bill (Batteria ) e Ken (Basso), si prodigò nel difficile compito di portare in ogni angolo della terra quella sensazione di spensieratezza da party della confraternita a cui il mondo aspirava (Secondo loro). La frase “Una manica di simpatici festaioli bontemponi” può descrivere bene il fenomeno, anche se trovare la ricetta giusta per esprimere tutto questo sfarzo goliardico in pieno periodo revival-psichedelico, non fu certo cosa immediata. American Beat (Il primo vero singolo della band) invece folgorò tutti gli amanti del toga party oltre coloro che amano correre nudi per le strade dopo la terza pinta di birra. Il suo incedere è straripante. Un gavettone di felicità si infrange mentre il sax più ebbro della storia prepara il tappeto rosso all' anthem che da solo descriverà il revival sixties e si ereggerà a sua forma massima. Il passo verso la commistione perfetta di Roman gods è breve, e mentre le prime note di “The dreg” inumidiscono l'aria, si comprende quanto la speziatura della proposta sarà ben più massiccia di un semplice tuffo nelle dance-hall universitarie dei sixties. All' interno, la tradizione garage viene arricchita dal Rhythm and blues (Hope come back)e soleggiata dal surf più limpido e armonico di sempre(Let's see the sun), inacidita da punte piccanti e richiami rockabilly (R-i-g-h-t-s) senza dimenticare mai l' argilla da cui provengono, il garage-sixties di “Stop fooling around”. Roman gods si presenta come il miglior prodotto revivalistico di tutti gli eighties, qualcosa nato per un' esigenza ben precisa e non dalla mera ricerca di un' esperienza “Diversa” nella New York degli artisti. Se siete in cerca di Eroi veri, di passionali e appassionati alfieri che degnamente rappresentarono gli anni del revival, bhe gli avete trovati,e questa è la loro manifestazione migliore.
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